Dopo circa tre ore di cammino, ero finalmente arrivato in cima al Ghinivert, una punta in fondo alla Val Troncea di circa 3.000 metri di altitudine. La giornata era stupenda, ma la fatica della salita si faceva sentire, per cui avevo accuratamente cercato un posto comodo per sedere e riprendere un po’ di fiato. Causa la stanchezza, la ricerca fu breve e la pietra scelta mi parve comoda e persino più morbida delle “poltrone sofà” tanto reclamizzate in TV. Dopo aver contemplato a lungo il panorama, cercando di individuare alcune delle cime che si ergono tutt'intorno, cominciai a consumare il mio solito panino, accompagnandolo con qualche sorso di vino che a quell'altezza aveva raggiunto il massimo del suo potere dissetante. Attorno a me non c’era anima viva, tranne una coppia di gracchi che volteggiavano nella speranza di trovare qualche residuo alimentare quando avrei abbandonato il luogo. L’unico rumore era dovuto alla leggera brezza che interessa le cime nelle belle giornate estive. Da quel luogo maestoso potevo godere la vista dell’ampia zona circostante e riconoscere alcune borgate della bassa valle. Ad un certo punto però la mia attenzione fu attratta da un piccolo insetto che si affaccendava ai miei piedi: una formica si aggirava tra le piccole pietre appena smosse dai miei grossi scarponi. Mi parve interessante constatare il contrasto tra la grandezza del mondo che mi circondava e quel piccolo essere vivente che girava di qua e di là con grande agilità ed apparentemente senza motivo e senza senso, alla ricerca di chissà cosa. Poco alla volta fui preso dalla curiosità di capire il motivo che rendeva così agitata la bestiola, che ispezionava ogni pietruzza che incontrava sul sentiero: forse non le riconosceva perché smosse poco prima dai miei scarponi. Ad un certo punto però la bestiola si fermò all'improvviso davanti ad una briciola di pane caduta dalla pagnotta che avevo sfornato appena 24 ore prima. La briciola aveva le dimensioni di un chicco di grano, quindi molto più grande dell’animaletto che ora la guardava con interesse. Dopo alcuni istanti la formica afferrò con decisione la preda e, sollevatala come si trattasse di un trofeo, partì con decisione verso una meta che solo lei conosceva. Faceva impressione vedere una briciola in movimento, spinta da un insetto che quasi non si vedeva. Percorsi però una quindicina di centimetri, il trasportatore trovò la strada sbarrata da due pietre grandi quanto nocciole, che però non consentivano il passaggio di un oggetto tanto voluminoso. La formica provò più volte a forzare il blocco, ma i suoi sforzi si dimostrarono inutili. Nel frattempo passarono alcune altre formiche che, dopo aver dato un veloce sguardo alla collega in difficoltà, ripresero il loro frenetico viaggio alla ricerca di chissà cosa. La formica trasportatrice intanto, al terzo o quarto tentativo fallito, cambiò improvvisamente strategia: anziché spingere l’ingombrante carico, si girò ed in retromarcia cominciò a tirare la briciola, riuscendo così a superare l’ostacolo al primo tentativo e riprendere il viaggio con maggior vigore, dovendo recuperare il tempo perso a causa delle pietre. Ho ancora seguito l’insolito trasportatore fin quando è entrato in un anfratto che forse lo portava alla propria famiglia, ma la scena mi aveva sorpreso, affascinato e stupito dall'intelligenza dimostrata da una semplice, piccola formica. Il fatto di per se insignificante, mi ha fatto capire che anche dei comuni insetti hanno delle doti fenomenali che gli permettono tra l’altro di sopravvivere a 3.000 metri, dove alla mancanza di vegetazione si aggiungono temperature rigide anche nella bella stagione, superabili solo grazie alla loro particolare intelligenza. Da quel giorno mi son convinto che il detto “hai il cervello di una formica” non dev'essere considerata una frase offensiva, bensì un complimento.