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La Portassa di Osasco

Ecco i nostri articoli più recenti:  inviateci anche i vostri contributi, le vostre opinioni o foto che reputate possano essere interessanti!

Gli anni '60 a Tetti Francesi di Rivalta
di Fabrizio Avaro

  Sono nato nell’Aprile del 1961, all’ospedale civile di Pinerolo, ma dopo pochi giorni ho iniziato la mia vita a Tetti Francesi, una frazione di Rivalta di Torino, ubicata lungo la strada provinciale che da Orbassano porta a Piossasco. Vi ho abitato fino al 1969, e proprio lì ho vissuto gli anni ’60 che ho visto con occhi da bambino. Era un luogo un po’ particolare, nella seconda cintura di Torino, mi fa piacere e spero possa servire a chi è più giovane di me lasciare una testimonianza di come era la vita allora. 

Il luogo era al margine sud-ovest del comune, ad alcuni chilometri di distanza dal capoluogo, e fino agli anni ’50 vi erano solo poche cascine, di scarso valore data la bassa fertilità dei terreni. Nonostante questo vi erano 3 cappelle (2 sono poi state demolite) e le ricordo tutte. E’ cambiato tutto quando nel 1956 o 1957 la Indes (poi diventata presto Indesit) ha aperto il suo primo stabilimento di frigoriferi proprio a Tetti Francesi (probabilmente la società aveva potuto acquistare i terreni a buon prezzo), al margine della provinciale di cui sopra. A quel punto i terreni di fronte allo stabilimento sono diventati appetibili per costruire case per gli operai ed impiegati richiamati dalla possibilità di lavoro e mio papà è stato uno di questi. Nel 1957 ha iniziato a lavorare come fuochista (= conduttore e manutentore di caldaie a vapore) e stava in affitto, insieme a 2 giovani compaesani di Fenestrelle pure loro emigrati in pianura,  in una cascina che ho visto da piccolo; qualche anno dopo è stata demolita per costruire un condominio. Intorno a quella cascina, proprio di fronte allo stabilimento, sono sorti come funghi e nel massimo disordine urbanistico alcune villette e vari condomini / palazzine, che fino ad inizio anni ’60 erano di 2 o 3 piani, in stile anni ’50;  molti avevano ringhiere di cemento sui balconi e nel complesso erano decorosi. Un esempio è l’edificio metà colore turchese e metà giallo nella foto sopra (via Saluzzo). Più avanti negli anni ’60 e negli anni ’70 sono poi sorti verso il margine ovest e sud del borgo veri e propri condomini di 5 o 6 piani (oltre al piano terra), alquanto simili (ma un po’ più bassi) a quelli lungo corso Orbassano o corso Traiano a Torino, finalmente con un po’ meno disordine urbanistico. Come esempio vi allego la foto qui accanto (strada vecchia di Pinerolo), qui abitava una mia zia, anche lei emigrata in pianura per lavorare all’Indesit.

Nel 1959 hanno finito di costruire in via Boves (a circa 200 metri dal cancello d’ingresso dello stabilimento) una palazzina di 3 piani (compreso il piano terra), mio papà si è prenotato a tempo debito l’alloggio al piano terra rialzato, nel giugno 1959 ha sposato mia mamma e lì abbiamo abitato, ancora in affitto,  fino al 1969. L’alloggio, come i 2 soprastanti, era privo di impianto di riscaldamento; per scaldarci d’inverno i miei avevano una stufa a cherosene, ubicata nel corridoio d’ingresso (minuscolo) e, lasciando aperte le porte interne, l’aria (poco) calda poteva andare verso il soggiorno/cucina o le due camere. Non ricordo se avevo freddo da piccolo d’inverno, ma vedendo le foto invernali da bambino, dove mia sorella ed io abbiamo maglioni dall’aria piuttosto spessa (molti fatti manualmente con i ferri appositi da mia mamma) il sistema di riscaldamento non doveva essere un gran che efficiente. La casa non era recintata: c’era un triangolo di terra davanti all’ingresso, verso via Boves, dove forse si poteva posteggiare un’auto (purché piccola), mentre sul lato opposto c’era un piccolo cortile, poi tre garage per le 3 famiglie (uno custodiva la FIAT 600 di mio papà) e dietro i garage c’era il muro di cinta che separava dal posteggio per le auto dei dipendenti Indesit (era un posteggio assai piccolo, credo ci fossero ben pochi impiegati a venire a lavorare in auto, all’epoca). Questa foto ritrae la casa nel 1998, è cambiato ben poco da quando abitavo lì, solo i serramenti e l’aggiunta delle tende sui balconi. Nel triangolo di terra davanti alla casa si vedono ben 2 auto, di cui però una è una FIAT 126 (ingombro perfino inferiore a quello di una 500 degli anni 60). In questa foto del 1963 o 1964 ci siamo mia sorella ed io, la palazzina impiegati dell’ Indesit ed una casa che si trovava vicinissima a quella dove abitavo. Anche se è difficile riconoscermi, questa è una prova che all’epoca io vivevo proprio lì !

I NEGOZI 

  Nonostante il borgo fosse piccolo (ma poi si è sviluppato fino a circa 4000 - 5000 abitanti negli anni ’70) già quando vi abitavo c’erano tutti i negozi che servivano. Lo sviluppo del borgo è stato incentivato dalla nascita della FIAT Rivalta, uno stabilimento enorme (in confronto a quello dell’ Indesit), sorto appena ad ovest di Tetti Francesi, esteso verso Piossasco. La costruzione dello stabilimento è durata per tutti gli anni ’60, ma tornando ai negozi, circa di fronte a casa dei miei c’era un palazzo con la latteria e sovente mia mamma mandava me a fare l’acquisto, da quando avevo 6 o 7 anni; vi assicuro che non vivevo le situazioni di vita  cantate da Gianni Morandi, ero troppo piccolo ! Anche il negozio era piccolo, forse con superficie minore  di quella di una normale stanza delle nostre case, destinato apposta a vendere il latte. Appena entrati si aveva di fronte un bancone che conteneva all’interno, a temperatura adeguatamente fredda, un bidone contenente il latte. Consegnavo il recipiente portato da casa (probabilmente una bottiglia di vetro) al / alla negoziante (non ricordo la persona), dicevo quanto latte volevo e, tolto il coperchio (un cilindro piatto con pomello al centro, come questi in foto accanto) il / la negoziante prelevava il latte dal bidone con un mestolo e, con l’aiuto di un imbuto, lo travasava nella mia bottiglia. Il mestolo aveva la forma di un cilindro (sicuramente di capacità ben nota, simile a quello nella foto) prolungato da un manico, per permettere al / alla negoziante di avere il controllo del volume di latte venduto, in modo indipendente dal recipiente del cliente. Mi facevo dire il prezzo, consegnavo le monete necessarie e poi a casa riferivo i numeri a mia mamma, la quale poi controllava che il resto fosse giusto. Ai tempi non si emettevano scontrini fiscali alla cassa, solo i primi supermercati avevano i registratori di cassa (credo più meccanici che elettronici), bisognava controllare il resto subito in tempo reale. La latteria era così piccola che oltre al bancone con il bidone del latte c’era solo un armadio aperto davanti  (credo anch’esso refrigerato) che conteneva formaggi e burro da vendere. Se non ricordo male, gli yogurt non erano ancora in vendita, almeno a Tetti Francesi.

L’igienicità nel gestire il latte può sembrare insufficiente al giorno d’oggi, ma il buon senso poneva rimedio: prima di consumare il latte, lo si faceva bollire una volta e questo sterilizzava il ben apprezzato cibo liquido bianco. Lavando e riusando la bottiglia più volte, non si doveva certo smaltire un contenitore tetrapak per ogni litro o mezzo litro di latte consumato.

Svoltato l’angolo del palazzo di fronte a casa dei miei (lo stesso della latteria), ci si ritrovava sulla provinciale per Piossasco ma c’erano marciapiedi arretrati rispetto al margine della strada, di quanto basta perché mia mamma si fidasse a mandarmi a prendere il pane presso la panetteria; questo da anche un’idea di quante poche auto circolassero all’epoca. Dal panettiere mi recavo con una borsa di stoffa, riservata da mia mamma solo a contenere il pane; chiedevo quel che mi aveva detto mia mamma, il panettiere poneva il pane direttamente sul piatto metallico della bilancia e poi me lo collocava nella borsa. La verifica della correttezza del resto la faceva poi mia mamma quando un minuto dopo ero poi a casa e le dicevo i numeri. Quando poi frequentavo la seconda elementare credo che ormai avessi imparato già a fare i conti più semplici da solo, prima di uscire dalla panetteria. Anche qui, niente imballaggi da smaltire: se ben ricordo i sacchetti di carta marron usati soprattutto per il pane sono comparsi nel corso degli anni   ’70, con il diffondersi di un consumismo che sicuramente ha generato molti rifiuti di imballaggio evitabili. Con l’avvento dei sacchetti di carta, il panettiere poteva scrivere il prezzo con una penna biro sul sacchetto, facilitando il controllo alle mamme a casa.

Il tragitto dai negozi a casa era meno di 50 metri ma sufficiente per rischiare la vita: una volta, non so se tornavo dalla panetteria o dalla latteria, ho attraversato la strada senza accorgermi che da via Boves, dietro l’angolo del palazzo, arrivava una delle poche auto e mi sono ritrovato coricato a pancia in giù sul cofano motore; per fortuna il signore andava piano e con buon senso (non potendo  sapere chi/cosa avrebbe potuto esserci dietro l’angolo…). Mi ha accompagnato gentilmente a casa da mia mamma (questione di 10 o 20 metri) e l’ha rassicurata che nessuno si era fatto male e non c’erano danni. Non ricordo cosa sia successo dopo, quando sono rimasto da solo con lei… Sul finire degli anni ’60 il traffico era sempre più intenso (specie sulla provinciale per Piossasco) e mia mamma era sempre più preoccupata per l’incolumità dei bambini (specie dopo che un incidente simile è successo a mia sorella, investita da una bicicletta, anche qui dietro un angolo cieco). Credo sia una delle tante cose che hanno spinto i miei a lasciare Tetti Francesi per spostarsi a Gerbole di Rivalta, un buon chilometro più in là. 

Una proposta di pista ciclabile per Osasco

  Il nostro concittadino architetto Francesco Calliero gentilmente ci ha fatto pervenire un suo prezioso contributo inerente la costruzione dell’auspicabile pista ciclabile di unione fra il concentrico di Osasco e l’area commerciale a monte del paese. Primo passo per completare il circuito che ci può unire con la pista ciclabile in essere dal ponte Chisone fino a Pinerolo.

  La sua proposta, oltre che essere un contributo ed un suggerimento rivolto alla nostra pubblica Amministrazione, mira a sollecitare anche il possibile dibattito con chi può essere interessato ad evidenziare su questa pagina suggerimenti pertinenti e sempre ben accetti.

  La Redazione, indubbiamente consapevole delle difficoltà del caso, fa sua questa proposta e ardentemente spera nella capacità gestionale, e soprattutto nella volontà politica della nostra Amministrazione di trovare le risorse per risolvere questo annoso problema.

  Attendiamo vostri suggerimenti che pubblicheremo on-line e che potrete inviare all’indirizzo LaPortassa@gmail.com

Oppure lasciare eventuali scritti nella buca delle lettere posta fuori della biblioteca.

 La Redazione

  

Proposta per la riqualificazione del tratto di via Martiri della Libertà e di via Pinerolo fra l’ingresso del paese ed il centro commerciale.

 É bello passeggiare sulle nostre colline! Se non vi capita, vi invito a farlo con tutta la famiglia, una di queste domeniche, magari cercando una delle terrazze che assicurano un’incredibile vista sulla pianura pinerolese: chi non si riempie di gioia mostrando ai propri figli, nipoti, amici, dall'alto ed in un unico colpo d’occhio, il territorio che abita e che ha contribuito a costruire nel tempo...

 Nelle belle giornate si intravedono le Alpi Marittime!

 Peccato che quella foschia fastidiosa che sporca il cielo sopra la nostra pianura e che fingiamo di non vedere sia sempre meno nebbia e sempre più smog: guardatene il colore, un alone di sfumature tra il nerofumo, il grigio topo, e l’ombra di mummia… Quella stessa polvere che rende la piana padana la zona estesa più inquinata d’Europa, con una delle più elevate incidenze di mortalità precoce dovuta a polveri sottili. E ancora: senza scomodare il peggio, sempre più ricerche concordano sul fatto che l’esposizione prolungata all'inquinamento danneggia le capacità cognitive e sembra contribuire alla diffusione di disturbi psichiatrici soprattutto fra i più piccoli.

 E’ necessario costruire, per il bene nostro e di chi vogliamo crescere sano e forte, città e paesi differenti, capaci di offrire maggior benessere e meno effetti collaterali. E chissà, magari un domani ci accorgeremo che il nostro paese ed il suo paesaggio, se curati con lungimiranza, potrebbero persino assomigliare a uno di quei posti che tanto amiamo frequentare durante le vacanze...

 Immaginare piste ciclo-pedonali complementari alla rete stradale è uno dei tasselli di questa costruzione.

 Proposta per un percorso promiscuo pedonale e ciclabile

Il percorso, in continuità alla rete di itinerari pedonali e ciclabili programmati, dovrebbe essere situato fra l'uscita dal centro abitabile ed il centro commerciale sorto su via Pinerolo, ovvero a servizio di questo e delle due fermate degli autobus di linea attualmente situate prima e dopo la rotonda di accesso al paese.

 Esso potrebbe, per il primo tratto, costeggiare la cinta muraria del Castello, passando sulla striscia a prato attuale (larghezza della banchina, fino alla striscia continua di delimitazione della corsia carrabile: maggiore o uguale a 2m). Potrebbe essere pavimentato, nel rispetto paesaggistico del muro di cinta e del Castello medesimo, nonché della normativa vigente e della auspicabile permeabilità, con griglie salvaprato carrabili.

L’occasione potrebbe peraltro risultare propizia per valutare la possibilità di una messa in sicurezza, con finalità anche conservative ovvero di valorizzazione, della suddetta cinta in pietra a secco.

 

 

Si aprono, a questo punto, alcune possibilità per collegarsi alla predisposizione ciclabile già presente, presso l’area commerciale, sull'altro lato della strada:

  • l’integrazione dell’attraversamento pedonale in progetto su via Pinerolo (a seguito del rifacimento del capannone a destinazione commerciale fronte rotonda) ed il proseguimento del percorso misto ciclo pedonale sul lato opposto a quello del Castello – vedi fig. 1
  • il prosieguo del percorso ciclo-pedonale in adiacenza alla cinta storica, e l’attraversamento della Provinciale poco oltre il termine di questa – fig. 2a - o all’altezza della successiva rotatoria - fig. 2b

  fig. 1

 

Di seguito si evidenziano alcuni vantaggi e svantaggi per ciascuna ipotesi:

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

  


 

fig. 2a



 

fig. 2b


 

 

 

   

 

 

Pro

Contro

Prima ipotesi

fig. 1

Unico attraversamento della Provinciale*

 

 

 

 * al momento della stesura di questo scritto sembra che tale attraversamento sia oggetto di disaccordo: la Provincia osserva che il pilone votivo esistente ne limita la visibilità, il Comune non sembra intenzionato a spostare di qualche metro né l’uno né l’altro

· Larghezza disponibile della banchina limitata;

· Promiscuità: attraversamento dell’area conferimento rifiuti e fermata autobus esistente, con possibili rischi per la sicurezza dei ciclisti; attraversamento di accessi carrai privati

· Attraversamento ciclabile dell’uscita dalla zona commerciale sulla Provinciale in posizione “cieca” per i ciclisti che si muovono in direzione Osasco-Pinerolo

Seconda ipotesi

fig. 2a

· Larghezza disponibile della banchina sufficiente

· Attraversamento ciclabile della Provinciale in zona sicura

· Valorizzazione della cinta muraria storica, anche tenendo conto delle aree verdi più ampie afferenti al Castello prima e dopo la rotonda, che risulterebbero collegate dalla pista ciclabile

Doppio attraversamento della Provinciale

Terza ipotesi

fig. 2a

· Come sopra, con il vantaggio che il secondo attraversamento della Provinciale avverrebbe in prossimità della successiva rotonda e del gruppo di abitazioni adiacente

· Nessun adattamento da operare rispetto alla viabilità di recente costruzione afferente il centro commerciale

 

 

 

Area di conferimento rifiuti e fermata autobus alla porta del paese

Detta area versa da anni in condizioni di scarsa o nulla qualità urbana, pur trovandosi all'ingresso del paese e di fronte al Castello di Osasco. Con la valorizzazione dell’area (fronte Castello) grazie al percorso ciclo- pedonale, si potrebbe procedere alla sua riqualificazione attraverso la semplice piantumazione di una siepe o arbusti da fiore (forsizia..) a ridosso delle recinzioni esistenti, e dalla messa a dimora di alcuni alberelli rustici a portamento basso/arbustivo (prugnoli, ciliegi magaleppi..).

Il tutto senza intaccare: l'area di affiancamento per l'utilizzo e per lo scarico motorizzato dei cassonetti per il conferimento dei rifiuti; l'attuale fermata dell’autobus; uno spazio minimo di parcheggio destinato ai fabbricati adiacenti (tre unità abitative).


 


 


 

Si allegano gli estratti normativi essenziali:

 

DECRETO MINISTERIALE 30 novembre 1999, n. 557

 

Art. 4.

2. Gli itinerari ciclabili possono essere utilizzati per esigenze prevalentemente legate alla mobilità lavorativa e scolastica quale sistema alternativo di trasporto per la risoluzione - anche se parziale -

dei maggiori problemi di congestione del traffico urbano o per esigenze prevalentemente turistiche e ricreative.

5. I percorsi promiscui pedonali e ciclabili, identificabili con la figura II 92/b del decreto del Presidente della Repubblica 16 dicembre 1992, n. 495, sono realizzati, di norma, all'interno di parchi o di zone a traffico prevalentemente pedonale, nel caso in cui l'ampiezza della carreggiata o la ridotta entità del traffico ciclistico non richiedano la realizzazione di specifiche piste ciclabili.

I percorsi promiscui pedonali e ciclabili possono essere altresì realizzati, previa apposizione della suddetta segnaletica, su parti della strada esterne alla carreggiata, rialzate o altrimenti delimitate e protette, usualmente destinate ai pedoni, qualora le stesse parti della strada non abbiano dimensioni sufficienti per la realizzazione di una pista ciclabile e di un contiguo percorso pedonale e gli stessi percorsi si rendano necessari per dare continuità alla rete di itinerari ciclabili programmati.

In tali casi, si ritiene opportuno che la parte della strada che si intende utilizzare quale percorso promiscuo pedonale e ciclabile abbia:

    a) larghezza adeguatamente incrementata rispetto ai minimi fissati per le piste ciclabili all'articolo 7;

    b) traffico pedonale ridotto ed assenza di attività attrattrici di traffico pedonale quali itinerari commerciali, insediamenti ad alta densità abitativa, ecc

 

Art. 7.

Larghezza delle corsie e degli spartitraffico

1. Tenuto conto degli ingombri dei ciclisti e dei velocipedi, nonché dello spazio per l'equilibrio e di un opportuno franco laterale libero da ostacoli, la larghezza minima della corsia ciclabile, comprese le strisce di margine, è pari ad 1,50 m; tale larghezza è riducibile ad 1,25 m nel caso in cui si tratti di due corsie contigue, dello stesso od opposto senso di marcia, per una larghezza complessiva minima pari a 2,50 m.

2. Per le piste ciclabili in sede propria e per quelle su corsie riservate, la larghezza della corsia ciclabile può essere eccezionalmente ridotta fino ad 1,00 m, sempreché questo valore venga protratto per una limitata lunghezza dell'itinerario ciclabile e tale circostanza sia opportunamente segnalata.

3. Le larghezze di cui ai commi precedenti rappresentano i minimi inderogabili per le piste sulle quali è prevista la circolazione solo di velocipedi a due ruote. Per le piste sulle quali è ammessa la circolazione di velocipedi a tre o più ruote, le suddette dimensioni devono essere opportunamente adeguate tenendo conto dei limiti dimensionali dei velocipedi fissati dall'articolo 50 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285.

4. La larghezza dello spartitraffico fisicamente invalicabile che separa la pista ciclabile in sede propria dalla carreggiata destinata ai veicoli a motore, non deve essere inferiore a 0,50 m.

 

Art. 12.

Superfici ciclabili

1. Sulle piste ciclabili deve essere curata al massimo la regolarità delle superfici per garantire condizioni di agevole transito ai ciclisti, specialmente con riferimento alle pavimentazioni realizzate con elementi autobloccanti.

2. Sulle piste ciclabili non è consentita la presenza di griglie di raccolta delle acque con elementi principali paralleli all'asse delle piste stesse, né con elementi trasversali tali da determinare difficoltà di transito ai ciclisti. 

 

Osasco, gennaio 2020

Francesco Calliero

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BREVE STORIA DI OSASCO DAL 1939 AL 1981

Fabrizio in una sua nota, affermava che c’è un vuoto di notizie sulla storia di Osasco, tra il 1939 (anno in cui venne pubblicato il libro di Monsignor De Marchi) ed il 1981, anno in cui cominciò la pubblicazione de La Portassa, che ha raccolto alcune testimonianze riguardanti la vita del paese.

Vorrei tentare di contribuire a colmare questo vuoto, parlando brevemente di fatti riguardanti la nostra comunità avvenuti dopo la seconda guerra mondiale, fatti vissuti o sentiti raccontare da altri cercando, come al solito, di farlo con la massima obiettività, ben sapendo che si tratta comunque di interpretazioni personali.



Il libro di Monsignor De Marchi è stato scritto nel pieno del periodo fascista e quindi non poteva che parlare bene dell’autorità del momento mentre invece, sentendo la testimonianza di persone vissute in quegli anni, si può capire che non fossero tempi molto facili.

Con un decreto del 1928 il comune di Osasco era stato incorporato da San Secondo, con i comuni di Prarostino e Roccapiatta. Non sappiamo com'era stato per questi due ultimi, ma per Osasco gli effetti di quel decreto erano entrati in vigore dal 1.1.1929.

Questo lo abbiamo rilevato alcuni anni fa, scoprendo che i nostri concittadini Gilli Dante e Giordana Giacomo, pur essendo nati nel 1928 - rispettivamente il 31.10.1928 e il 4.11.1928 - risultano nati ad Osasco.

Una cosa che mi ha sempre incuriosito è il fatto che il nostro comune è passato sotto San Secondo mentre il comune di Garzigliana, pur essendo più piccolo del nostro, è sempre rimasto autonomo. L’ipotesi più probabile è che il Colonnello Augusto Allois (che, come ci raccontò una testimone, alla sua firma faceva seguire la pronuncia del cognome “Alluà”), per due anni Podestà di Osasco, prima che diventasse frazione di San Secondo, avesse fatto pressione presso gli organi superiori in tal senso, presumendo che fare il Podestà di un comune più grande – San Secondo - avrebbe aumentato il suo prestigio personale.

Per i cittadini del nostro paese lo spostamento del comune rappresentò comunque una grossa difficoltà, in quanto per ogni pratica amministrativa bisognava recarsi in quel paese, che a quei tempi non era facilmente raggiungibile, non essendoci servizi pubblici né automobili.

Ricordo che mia mamma raccontava che i buoni “tessera” - i buoni necessari inizialmente per comprare generi alimentari come pane, farina e sale, ma in seguito anche per vestiario ed altri generi - venivano distribuiti in comune a San Secondo, per cui si dovevano andare a ritirare là, generalmente con una faticosa salita in bici.

Quando negli anni trenta in paese nacque l’idea di costituire un consorzio irriguo, il Colonnello Allois essendo contrario a tale proposta, cercò di opporsi all'iniziativa arrivando a scrivere al Commissario Straordinario della Federazione Fascista di Torino “…. prego la S.V. di sollecitare l’approvazione della mia delibera sottoposta alla G.P.A. … se difatti i ricorrenti – nessuno dei quali è fascista – riuscissero nel loro intento, il prestigio dell’autorità comunale ne risentirebbe un colpo grave … trattasi perciò di salvaguardare una questione di principio molto importante per il comune …. “.

Nonostante questo ostruzionismo gli utenti del canale di Osasco in data 10.6.1934 costituirono il Consorzio Irriguo di Osasco, che fu approvato con Decreto Ministeriale n° 325/1 del 7 febbraio 1935.

Anche la Società Operaia ed Agricola di Mutuo Soccorso locale, fondata nel 1873, subì un’imposizione: nel 1940 fu convocata la direzione della stessa e, alla presenza di un funzionario prefettizio di Torino e di due membri del direttivo (forse gli unici favorevoli al regime), venne deciso il cambiamento della ragione sociale, che da Società di Mutuo Soccorso fu trasformata in Società Cooperativa di Consumo. Forma che mantenne fino al 1995, quando tornò alla ragione sociale originaria.

Anche se il nostro paese fu miracolosamente risparmiato da violenze registrate in molte altre località vicine, il ventennio non fu un periodo facile non solo per le ristrettezze e difficoltà dovute al fatto di essere in periodo di guerra, ma anche per il timore di incorrere in pesanti sanzioni in caso di critiche o di non rispetto delle numerose e severe limitazioni alle libertà personali, nonché ai gravosi obblighi imposti dal regime.

La situazione divenne particolarmente difficile dopo l’otto settembre 1943 in quanto la zona era frequentata sia da fascisti che da partigiani, che fortunatamente non ebbero ad incontrarsi direttamente, cosa che avrebbe potuto scatenare ritorsioni da entrambi le parti in lotta.

A tal proposito ricordo persone che, ancora terrificate, raccontavano di aver avuto visite da parte di fascisti a pochi minuti da quella di partigiani. Ancora non riuscivano a capire come fosse stato possibile che non si fossero incontrati, circostanza che sarebbe potuto costare l’incendio della casa se non addirittura la vita.

Nei giorni caotici seguiti all'otto settembre 1943, alcuni giovani del nostro paese, svolgevano il servizio militare in Toscana. Trovandosi improvvisamente privi di comando, decisero di tornare a casa però, essendo in divisa, dovettero farlo prestando attenzione di non essere visti da fascisti e così, viaggiando lontano da paesi e da strade, con un viaggio durato una ventina di giorni, partendo da Fivizzano arrivarono ad Osasco, da via Prabello (sul n° 36/1996 de La Portassa, l’intervista a due dei protagonisti).

Quando finalmente arrivò la Liberazione il paese, contati i concittadini morti ed i dispersi (alcuni dei quali tornati dopo anni, incredibilmente sani e salvi), riprese lentamente la vita di tutti i giorni.

La campagna riprese a rifiorire grazie al rientro dei reduci dalla guerra, ma la ripresa non durò molto tempo perché il nascente sistema industriale cominciò a risucchiare le forze lavoro più valide in una nuova attività, forse meno salubre ma che dava garanzie migliori rispetto a quelle offerte dal lavoro dei campi: paga garantita, orario stabilito, ferie, ecc.

Nacque così la figura del così detto “metal mezzadro”, cioè una persona che lavorava in fabbrica per avere le garanzie sopra citate, senza abbandonare però completamente l’attività precedentemente svolta, nella maggior parte dei casi, su terreni di proprietà familiare.

Dopo venti anni passati con il comune di San Secondo, nel 1948 Osasco ridivenne autonomo e perciò si rielesse un proprio sindaco, nella persona di Luigi Camusso, che mantenne la carica fino al suo decesso, avvenuto prematuramente nel 1956.

Nei giorni 2 e 3 giugno 1946 intanto, anche nel nostro paese si era svolto il referendum per la scelta tra Monarchia e Repubblica, consultazione che ammetteva per la prima volta le donne e che raggiunse la percentuale record di votanti dell’ 89,08.

A distanza di parecchi anni una elettrice ricordava di aver votato per la Monarchia, perché convinta che fosse l’unico sistema in grado di governare, essendo vissuta sempre sotto un sistema monarchico. Va inoltre fatto osservare che il termine “repubblica” era stato volutamente presentato come sistema privo di ogni regola, tanto che per indicare una situazione di incertezza, di confusione, di disordine, si diceva “… è proprio una repubblica … “.

Successore del sindaco Camusso fu Giuseppe Priotti, rimasto in carica per una legislatura prima di lasciare il posto a Domenico Picatonotto che mantenne la carica fino al 1975.

Sin dalle prime elezioni comunali del 1948 vennero sempre presentate due liste: una della Democrazia Cristiana (i cui candidati – tranne un solo caso – venivano immancabilmente eletti consiglieri) ed una seconda lista priva di riferimenti partitici.

Alla consultazione del 1970, oltre alla solita lista della Democrazia Cristiana venne presentata la lista alternativa “Nuovo Orientamento Democratico”, lista che per la prima volta vide eletti cinque dei propri candidati, anziché i tre che venivano solitamente eletti.

Il vento del ’68 comincia a soffiare, portando un grande fermento anche nel nostro paese: assemblee, dibattiti, volantini sono all'ordine del giorno, mentre l’avvio del boom edilizio porta con se i primi tentativi di speculazioni.

Alla fine del 1969 viene inaugurato il Posto di prestito libri, mentre il Circolo Acli organizza, nei locali della Società Operaia, un corso di studi che portano una ventina di concittadini a conseguire il diploma di terza media inferiore, diploma divenuto indispensabile per partecipare a concorsi pubblici.

Nel 1973 nacque un progetto, poi fallito, di realizzare un campeggio in regione Nunia (vedere articolo a parte).

Le elezioni comunali del 1975 assegnarono otto seggi alla lista della D.C. capeggiata da Enrico Berardo (che divenne sindaco) e sette seggi alla lista capeggiata da Gilli Ignazio.

Personalmente credo sia stata l’amministrazione che ha lavorato di più ed avviati i primi grandi progetti (fognatura, Piano Regolatore, distanza alberi, acquisto casa Claro ed annesso giardino, ecc.), perché i due gruppi furono costretti – per ragioni di numeri – a collaborare.

Il sindaco Berardo fu però costretto a dimettersi circa sei mesi prima della fine del mandato a causa di problemi interni al proprio gruppo e, per evitare il commissariamento del comune, la carica di sindaco passò a Gilli Ignazio.

Nel 1980 la Democrazia Cristiana passò al contrattacco, presentando un personaggio esterno, Gianni Vivalda, il quale avviò un sistema amministrativo che qualcuno definì “manageriale”, sistema che però aveva poco a che fare con il metodo democratico praticato dalla precedente amministrazione, tanto che qualcuno sentì l’esigenza di trovare un altro mezzo per cercare di far conoscere quanto accadeva nel palazzo comunale.

Fu così che nel 1981 un gruppo di appartenenti al locale Circolo ACLI, diede vita all'originale ciclostilato “La Portassa”……….

Giuseppe Gilli

Breve storia del “Museo dell’ingegno contadino”


Prima di parlare del Museo, sarebbe doveroso parlare della Società Operaia di Mutuo Soccorso di Osasco, perché proprio in quell'ambito nacque l’idea di allestire un Museo nel nostro paese. Abbiamo però deciso di parlare prima del museo, perché è un problema che NECESSITA UNA SOLUZIONE URGENTE, per trovare finalmente una sede adeguata per sistemarvi il materiale raccolto per tale scopo.

Nel 2003 ricorreva il 130° anniversario di fondazione della Società, ma già nel 2002 il direttivo aveva cominciato a stilare una bozza di programma per festeggiare l’importante traguardo ed in tale occasione, visto che nella sede della Società c’erano alcuni reperti antichi - tra cui la magnifica bandiera sociale risalente al 1876 - nacque dapprima l’idea   di allestire una mostra di oggetti e strumenti di lavoro del passato ed in seguito si pensò di dar vita ad un museo.

L’idea non era del tutto nuova, in quanto anche un’affezionata lettrice de La Portassa, in una sua breve ma interessante rivisitazione del passato della via in cui aveva vissuto i suoi anni giovanili, aveva ventilato la proposta di conservare i ricordi del passato. (quell'intervento è rintracciabile sul n. 44 de La Portassa).

Il primo problema da risolvere era però quello di trovare un locale adatto, e l’occasione non tardò a presentarsi perché proprio in quel periodo la famiglia Viotto, dopo una permanenza durata quasi un secolo, stava per abbandonare la cascina del castello, che disponeva di ampi spazi adibiti a tettoie, magazzini, stalla, abitazione.

Una soluzione ideale, una strada che tre dei componenti del direttivo della Società (Bessone Celso, Gilli Giuseppe e Levetti Sergio), decisero di provare a percorrere: presero perciò contatti col conte Enrico Cacherano, proprietario dell’immobile, ed in poco tempo arrivarono ad un accordo per l’utilizzo di una parte della stalla.

Vennero perciò avviati i lavori di ristrutturazione della stalla e delle aree circostanti, del portone d’ingresso, del cortile e così via, rendendo il locale stalla accogliente e le aree circostanti ordinate e presentabili.

A quel punto si diffuse la notizia che si stava allestendo un museo e che si raccoglievano oggetti, attrezzi e strumenti antichi di lavoro e la popolazione rispose con entusiasmo.

Intanto i tre volontari si dedicavano a lavori di falegnameria, ristrutturazione di muri, infissi, pavimentazione, trasformando in poco tempo la stalla in un locale pulito ed ospitale, come pure il cortile e le tettoie adiacenti.

Infine vennero sistemati i vari oggetti ricevuti, cercando di ricostruire le varie sequenze lavorative come si svolgevano una volta, nella stalla, nella cantina, nei campi, ma anche nel granaio od attività collegate all'agricoltura come ad esempio quella di carradore, dell’allevamento del baco da seta e così via.

Unanimi e positivi i giudizi lasciati da entusiasti visitatori, che spesso esprimevano un loro segno di apprezzamento sull'apposito registro, conservato ora gelosamente nella sede della Società di Mutuo Soccorso.

Poi avvenne l’imprevisto: il 4.11.2009 - all'età di 78 anni - il conte Enrico Cacherano improvvisamente venne a mancare e, come quasi sempre avviene quando muore un capofamiglia, la situazione cambiò bruscamente ed il museo venne sfrattato.

Venne interessato il comune, ci furono incontri con la famiglia Cacherano, ma nessuna soluzione venne trovata.

Venne contattato l’Istituto Agrario, che in un primo tempo accettò di ospitare parte del materiale museale in un prefabbricato e sotto una tettoia, ma poco dopo cambiò idea, costringendoci a trovare con urgenza un locale provvisorio per depositare il materiale.

Lo trovammo da un amico, il sig. Chiappero Giuseppe, che ci dimostrò grande disponibilità mettendoci a disposizione una tettoia.

Purtroppo però, poco tempo dopo, anche il sig. Chiappero morì, anche lui improvvisamente ed anche qui gli eredi, dopo un po’ di tempo, ci chiesero di liberare la tettoia perché intendevano mettere in vendita la casa che comprendeva la tettoia.

Ancora una volta fummo costretti a rivolgerci ad un altro amico, il sig. Giorgio Geuna, che gentilmente ci concesse di depositare il materiale sotto una sua tettoia, che però ora dovremmo liberare per dare la possibilità al proprietario di eseguire alcuni lavori nel locale.

A questo punto ci vediamo nuovamente davanti ad un bivio drammatico: abbandonare definitivamente l’idea del museo o fare un ultimo tentativo per ripristinarlo?

Da parte nostra riteniamo sarebbe importante ridare vita al museo affinché le nuove generazioni possano vedere, con oggetti concreti, come si svolgevano alcuni lavori quando non c’erano ancora trattori, mieti trebbie, nonché motoseghe, automobili e tutte le comodità di cui disponiamo oggi, ma che una volta nessuno poteva immaginare.

Da queste colonne chiediamo quindi alle autorità comunali, a tutti i concittadini di fare uno sforzo di immaginazione per trovare una sede, in paese, ove far rinascere il Museo che chiamammo “dell’ingegno contadino” perché, come dimostrano alcuni attrezzi in nostro possesso, proprio grazie all’ingegno erano state trovate soluzioni originali per rendere il lavoro meno faticoso.

ATTENDIAMO CON FIDUCIA PROPOSTE E SUGGERIMENTI .. GRAZIE.
Giuseppe Gilli

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Io non sono nativo di Osasco, ci sono venuto a vivere con il matrimonio nel 1995 ed ho apprezzato fin da subito questa pubblicazione. Fin da piccolo mi sono sempre piaciute molto sia la Storia che la storia, dove per storia con la s minuscola intendo quella della gente umile. La Storia sui libri e insegnata a scuola ci parla di capi di stato, guerre, comandanti militari, spostamenti di confini ed altro di livello ”elevato” ma ignora le vicende dei poveri contadini di pianura e montagna quali erano i miei antenati. Queste vicende però mi hanno sempre interessato in ugual misura, ho sempre ascoltato con grande interesse i racconti dei fatti accaduti ai miei nonni e bisnonni e familiari vari e ne serbo il caro ricordo. In gioventù mi sono procurato la maggior parte dei libri che raccontano le vicende accadute nella valle dei miei antenati, ma questa è la Storia con la S maiuscola, solo pubblicazioni come la Portassa si occupano dei comuni mortali che alla fin fine sono quelli che lavorano sodo in silenzio, senza mai diventare famosi, ma mandano avanti le famiglie ed il mondo e ne aiutano il progresso.
Nella Portassa ho trovato racconti di esperienze di vita vissuta nelle nostre campagne (dove lavoravano anche il 25 % dei miei antenati, quelli di pianura), la biografia di persone vissute in Osasco, la testimonianza di chi ha vissuto e praticato tradizioni della pianura pinerolese prima che scomparissero, travolte dalla modernizzazione della società e del lavoro agricolo. Più invecchio e più sento affetto per le miei radici, proprio per questo ho apprezzato La Portassa, dove ho colto fra le righe l’affetto di alcuni osaschesi per le loro radici ed ho apprezzato la loro devozione ed il loro impegno per far conoscere un mondo che si sta perdendo. Hanno fatto in tempo a trasmettere una testimonianza che secondo me è di grande valore ed è con grande dispiacere che ho appreso della conclusione dell’impresa, quando è stato distribuito il numero 60. Il dispiacere è tale da indurmi a fare qualcosa affinché l’impresa riparta.
Ritengo meritevole, a questo fine, lavorare per colmare una lacuna. Qualche anno fa l’amministrazione comunale ha fatto pubblicare un libro sulla storia di Osasco, contenente una memoria di monsignor Demarchi (l’opera arriva fino al 1940 circa) e pochi altri scritti su vicende più recenti. In seguito La Portassa, a partire dal 1980 circa, ci ha lasciato non solo un lodevole contributo a documentare la storia con la s minuscola ma ha anche testimoniato vari aspetti della Storia recente di Osasco, con la cronaca dei consigli comunali e raccontando vicende collegate per esempio alla ristrutturazione di Casa Claro. Credo che sarebbe un contributo utile alla nostra comunità raccontare nei prossimi numeri della Portassa le principali vicende accadute ad Osasco negli anni tra il 1940 ed il 1980 e raccogliere altre biografie di compaesani degni di nota, mentre c’è ancora chi li ricorda.
Fabrizio

Cos’è stata La Portassa per me




UN RICORDO DI PIERGIOVANNI TROSSERO  

Il 23 ottobre 2018 in Pinerolo, è deceduto Piergiovanni Trossero, giornalista che ha reso grande il settimanale pinerolese L’Eco del Chisone, di cui è stato Direttore Responsabile fino a pochi mesi prima della morte.

Lo ricordiamo sul nostro giornale con la testimonianza di un compagno di scuola, perché siamo convinti che, anche grazie ad un servizio giornalistico redatto da Trossero negli anni settanta, Osasco non ha imboccato una strada che lo avrebbe forse portato alla perdita della sua identità.

Avevo conosciuto Trossero sui banchi di scuola, nei soli ultimi due anni di ragioneria quando, abolite le due sezioni miste, ne era stata creata una maschile e l’altra femminile.

Sin da quei tempi Trossero aveva un progetto preciso sul proprio futuro: diventare giornalista, idea che era spesso motivo di discussione con il professore di italiano che non vedeva troppo di buon occhio l’aspirazione di un ragazzo allora ancora minorenne.

Ed invece Trossero aveva già le idee molto chiare ed una fermezza non comune per un ragazzo di quell’età, qualità che gli resero possibile entrare presto nel mondo giornalistico.

E fu negli anni settanta che ebbi la conferma della passione, responsabilità ed onestà con cui Piergiovanni esercitava la professione tanto agognata.

Infatti in quegli anni il nostro piccolo paese era stato adocchiato da una società fantasma intenzionata ad operare una grossa speculazione immobiliare: su un terreno agricolo di circa 68.000 mq., ubicato sulla sponda destra del torrente Chisone, - parte sul territorio del comune di Pinerolo e parte su quello di Osasco - si progettava la realizzazione di un campeggio con la promessa di servizi vari (tre piscine, giochi da bocce, ristorante rustico, ecc.) con la possibilità, per tutto l’anno, di abitare e di parcheggiarvi roulotte. Il progetto prevedeva 500 posti-roulotte di 80 mq l’uno, mentre i prezzi andavano dalle 800.000 lire a 1.200.000 l’uno.

La pubblicità diffusa su riviste specializzate nel settore turistico, reclamizzava due caratteristiche della zona: sole e verde. Infatti il sole non mancava, come pure il verde, essendo la zona immersa in un fitto bosco di acacia ed altre essenze autoctone.

Il giovane Trossero volle visitare personalmente la zona, poi affrontò il problema con un ampio servizio in prima pagine dell’Eco del Chisone in cui, con grande arguzia, informava i lettori – potenziali acquirenti – che oltre alle due caratteristiche molto ben reclamizzate (sole e verde) ne erano state dimenticate altre due molto meno dilettevoli: la presenza di grosse zanzare e, soprattutto, la vicinanza al torrente dove, proprio nella zona interessata dal progetto, le acque anche in tempi non lontani erano più volte uscite dal letto, inondando e devastando i terreni limitrofi.

L’articolo naturalmente non era piaciuto ai promotori dell’iniziativa, che avevano per questo dapprima rivolto minacce all’autore ed in seguito avevano tentato la via della collaborazione, arrivando ad offrire una sostanziosa ricompensa qualora fosse stato pubblicato un nuovo articolo sull’iniziativa, questa volta in chiave positiva.

Trossero però non scese a compromessi e continuò a criticare l’iniziativa, con motivazioni serie ed argomentate che pochi anni dopo furono confermate dall’alluvione del 1977 – a cui fece seguito quella del 2000, solo per citare le più rovinose – che si portò via la maggior parte del terreno interessato dal progetto, mentre la parte rimasta divenne una zona incoltivabile persino ad un bosco.

Il comportamento del giovane Trossero se da una parte contribuì a far fallire il tentativo di una grossa speculazione, dall’altra servì a salvaguardare gli interessi di incauti acquirenti – che già cominciavano ad arrivare – e, soprattutto, impedì che la zona venisse stravolta da un intervento pesante che avrebbe senz’altro avuto gravi ed irreversibili ripercussioni sulle coltivazioni agricole locali, nonché sull’intera comunità osaschese.

Anche di questo il nostro piccolo paese deve essere grato al caro Trossero, che nei giorni scorsi ci ha lasciato!

Giuseppe Gilli 

UN PROGETTO FALLITO

  Negli anni ’73-‘74, il nostro paese fu interessato dal progetto di impiantare un campeggio in regione “Nunia”, posta sulla riva destra del Chisone, in fondo a via Prabello.

Il terreno scelto per l’intervento si trovava (e si trova tutt’ora) in parte sul territorio del comune di Pinerolo ed in parte su quello di Osasco e fino agli anni quaranta consisteva in un terreno coltivato, con al centro una casa colonica che comprendeva l’abitazione con annessa cantina e pozzo, nonché stalla e tettoia. La classica composizione della casa contadina di quei tempi, posta al centro della proprietà coltivata, attorno alla quale sorgeva un fitto bosco costituito principalmente da acacie. A nord del bosco scorreva il torrente Chisone. 

Le alluvioni del 1947 e 1949 rappresentarono un grave pericolo per i residenti, perché le acque scavarono un passaggio dalla parte verso Osasco - da cui si accedeva alla zona – senza però danneggiare il terreno coltivato né la casa, rimasti miracolosamente illesi su un’isola. Gli abitanti dovettero però trascorrere alcuni giorni completamente isolati dal mondo, visto che a quei tempi non esistevano ancora elicotteri né telefoni per comunicare. Unico segnale per far capire di essere vivi, furono alcuni spari con la doppietta da caccia, che dopo qualche giorno convinsero alcuni volontari del paese ad avventurarsi, legati tra di loro con grosse funi, attraverso le acque che ancora scorrevano impetuose nel nuovo letto.

Dopo la brutta avventura, la famiglia si trasferì altrove, la casa venne abbandonata al suo destino, mentre il terreno adiacente continuò ad essere coltivato come prima.

La proposta arrivata negli anni settanta di creare in quella zona un campeggio-deposito roulotte, creò grande fermento in paese. C’era chi era fermamente convito che il nuovo insediamento avrebbe portato grande beneficio al nostro paese, che contava allora 800-900 abitati, mentre i contrari temevano per l’impatto che avrebbe causato l’arrivo di una massa di gente in una zona dedita all’agricoltura. Senza dimenticare la pericolosità della zona, alla luce di quanto avvenuto anche nel recente passato.

 Certamente i favorevoli all’operazione avevano subito l’influenza di una pubblicità allettante, che prometteva di realizzare piscine, giochi da bocce, e servizi vari, ma che al riguardo del vicino torrente, spendeva solo poche parole per esaltarne la freschezza e limpidezza delle acque.

Una rivista del settore turistico in una sua pubblicazione del mese di luglio 1974 scriveva: “Sul numero del mese di Maggio-Giugno apparve un servizio relativo alle nuove soluzioni ideate dalla Società XY per il suo Villaggio nel Pinerolese. Desideriamo tornare sull’argomento ancora una volta perché il successo di XY è stato tale da confermare la nostra buona impressione. La Società ci informa che il pubblico torinese ha risposto senza esitazioni. Vi sono ancora un certo numero di lotti disponibili, ma tenendo conto che le vendite sono iniziate solo dal 15 Maggio, si prevede che non rimarranno liberi a lungo”.

L’articolo continuava elogiando l’iniziativa affermando; “… la questione economica è risolta una volta per sempre con una interessante soluzione di proprietà che permette di risparmiare se non altro sul ricovero invernale”.

L’articolo infine affermava: “Siamo felici che tutto vada per il meglio e rinnoviamo gli auguri alla Società “XY“ e concludeva indicando l’indirizzo dove si potevano avere informazioni.

L’iniziativa, che molti osaschesi avevano accolto come buona occasione per “sprovincializzare” il paese, mentre altri bollavano come semplice tentativo speculativo, si concluse nel giro di poco tempo con un nulla di fatto, come altre iniziative analoghe avviate – ed allo stesso modo naufragate – dalla stessa società in altre località piemontesi. 

La questione è di recente tornata a far discutere in seguito ad una lettera pubblicata sull’Eco del Chisone in cui lo scrivente si chiedeva cosa sarebbe potuto accadere, se fosse stato realizzato il progetto, con le alluvioni del 2000 e 2016.

I più ottimisti infatti pensano tutt’ora che forse l’insediamento avrebbe potuto costringere i realizzatori a provvedere alle difese spondali del torrente, in modo da renderlo meno pericoloso, mentre altri, molto meno fiduciosi, ritengono molto più probabile che la società, concluse le vendite, si sarebbe volatilizzata, lasciando ad altri la soluzione del gravoso problema. 

Giuseppe Gilli

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