Un contributo dal nostro lettore Arch. Francesco Calliero Chi direbbe che un paesino sul limitare della campagna piemontese, ai piedi delle Alpi Cozie, possa essere definito: “città d’acque”? Eppure, il nostro piccolo centro si trova non soltanto in prossimità della confluenza di due torrenti, che da quelle montagne discendono (il Chisone e il Pellice), ma soprattutto è direttamente delimitato da due canali: il Chisonetto, che percorre il confine nord–orientale dell’abitato, e “il bial”, che ne attraversa il centro. Entrambi sono il frutto dell’imponente lavoro di definizione del sistema irriguo storico, necessario a canalizzare minuziosamente l’acqua fino alle campagne frapposte tra i corsi principali, nonché agli impianti di lavorazione varia (le ruote, o mulini); rete capillare che nei secoli andati ha permesso il fiorire dell’agricoltura in una delle più fertili ed estese pianure d’Europa, la Padana, a sua volta debitrice della propria generosità ad almeno ventimila anni di scorrimento delle acque ed esondazioni, capaci di stratificare sul suo dorso decimetri e decimetri di prezioso materiale organico. L’importanza dell’acqua è così radicata nella materialità (e quindi nella memoria) storica, che il referendum del 2011 per la difesa dell’acqua pubblica ha restituito un risultato plebiscitario: oltre il 95% dei sì, con un’affluenza pari al 57% degli aventi diritto. Oggi, quest’acqua, come tutto ciò che si muove indipendentemente dalla nostra volontà, è irreggimentata, intubata, sepolta viva sotto un tappeto d’asfalto e di cemento. Per farla defluire, il prima possibile, lontano dalla nostra vista, dal nostro udito, dalla nostra esperienza. La viaggiatrice che si trovasse a doversi fermare in Osasco, al pari del residente distratto, difficilmente si accorgerebbe di una presenza così importante, e così vicina. E difficilmente potrebbe comprendere l’appellativo nel titolo. Gli alvei secchi di quest’estate, e la siccità dell’inverno che l’ha preceduta, dovrebbero essere avvenimenti da segnare in rosso sul calendario: un anno nefasto, il 2022, che ha portato ad una riduzione cospicua (fra il 30 e il 50%) del volume d’acqua sceso su Torino[nota 1 al fondo dell'articolo]. Non si tratta però di un evento eccezionale, ma il frutto avvelenato di scelte, perlopiù poco consapevoli, operate nel secolo scorso. Anche nell’organizzazione urbana (per rimanere in ambito locale, tralasciando le variazioni macro e mesoclimatiche innescate dal surriscaldamento globale). La siccità, sempre più analisi lo dimostrano, può essere incentivata: la canalizzazione di ogni più piccolo scolo, l’impermeabilizzazione delle superfici, l’assenza o scarsità di aree vegetali permeabili e di alberate importanti (nelle metropoli in particolare, ma anche nelle cittadine, perfino nelle campagne) comporta un duplice effetto: da una parte l’acqua non ricarica le falde, scorrendo velocissimamente verso il mare; dall’altra gli alberi, capaci di assorbirla dal suolo e riemetterla in atmosfera sottoforma di umidità, “seminando la pioggia”, sono troppo scarsi, e l’innesco del piccolo ciclo dell’acqua insufficiente. Ma quali possibilità ci sono per invertire il fenomeno, quali le misure che possiamo immaginare? “Incremento e miglioramento della forestazione, anche urbana; terrazzamento dei pendii collinari; microstrutture per la raccolta delle acque piovane; zone umide artificiali e fossi orizzontali sui pendii; restituzione ai corsi d’acqua di ampie aree di piana inondabile; barriere vegetate frangipiena; rinaturalizzazione dei corsi d’acqua […]; ripristino a cielo aperto dei canali tombati; […] gore e sfioratori per infiltrare acqua nelle aree incolte; […]; giardini della pioggia; fitodepurazione […]; pavimentazioni drenanti. Operando queste semine si otterrebbero abbondanti raccolti d’acqua (nuove piogge), contrastando così la siccità.” [nota 2] Rileggo: ripristino a cielo aperto dei canali tombati. Ecco che scoperchiare, riportandoli alla loro veste storica, almeno alcuni tratti del “bial” che attraversa per quasi mezzo km il paese, può diventare un’operazione per contribuire a ripristinare la sensibilità verso il ciclo dell’acqua locale, e d’altro lato, a rendere ben più agevole e sicura la pulizia di quelle parti che dovessero rimanere coperte, in vista di eventuali sovraccarichi d’acqua e detriti. Sì, perché la siccità è soltanto un’altra faccia del rischio alluvionale: “le stesse misure ci proteggono sia dalla siccità sia dalle alluvioni poiché, fondamentalmente, non aumentano le precipitazioni, ma le distribuiscono più regolarmente sul territorio e nel corso dell’anno” [nota 3] Siamo soliti pensare che le azioni volte a sostenere la salute del territorio, dell’ambiente, richiedano molto sacrificio e restituiscano vantaggi minimi, perlopiù estetici e con un po’ di puzza sotto il naso. A ben guardare si tratta invece di scelte che, se inserite all’interno di un ventaglio di opere coerenti (vedi l’elenco citato pocanzi) risultano vantaggiose sotto molteplici punti di vista, per quanto non sempre concepibili dall’accoppiata novecentesca automobile più supermercato. L’ipotesi di intervenire nel cuore del paese, dedicando risorse pubbliche ad un bene pubblico, per liberare il “bial” dalla sua tomba di asfalto e cemento, sembrerebbe proprio ricadere fra le cosiddette “win–win”, ovvero quelle operazioni in cui a vincere sono tutti i partecipanti. 1) un certo fascino sempreverde: l’inserimento nel tessuto urbano di una piccola arteria blu–verde, naturalmente portatrice di luce e di suono, ma sempre rilassante nel suo scorrere leggero e senza fretta; il recupero storico vissuto come qualcosa di più di una semplice azione nostalgica, tributo al “bel–tempo–che–fu–purché–non–si–interrompano–gli–affari”. Non a caso diversi paesi, anche nelle nostre vicinanze, ornano le loro spalle di ghirlande e collane d’acqua [nota 4] ; 2) una nuova e inaspettata vitalità del centro del paese, soprattutto se il tratto urbano recuperato fosse, per l’appunto, preso ad innesco per ridurre finalmente la carreggiata di via Martiri della Libertà a non più di una corsia e mezzo, lasciando spazio alla ciclo pedonalità (e al terzo millennio, verrebbe da dire): “stare in auto ostacola l’interazione faccia a faccia e le conversazioni fortuite: tra voi e gli altri c’è sempre un vetro. Al contrario […] dove la gente si incrocia […] è facile costruirsi rapidamente una rete di amicizie. […] L’accessibilità ha un altro effetto profondo e importante: stimola l’attività economica. […] Inoltre, i soldi così spesi rimangono nell’economia locale, mentre quelli per la benzina o l’auto stessa finiscono altrove.” [nota 5] 3) un contributo alla salute, dato che grazie alla riduzione dei passaggi automobilistici e della relativa velocità (limite 30km/h), si otterrebbero: una netta riduzione nel rischio di investimenti mortali (–80% circa), riduzione del rumore (–40% circa), riduzione dell’inquinamento dell’aria in paese, a tutto vantaggio dei residenti (e delle viaggiatrici in sosta!), specie se anziani o bambini: “in Italia la concentrazione media di queste polveri [sottili – ndr] è oggi […] tre volte il valore raccomandato dall’OMS, ma nelle città della pianura Padana sale [fino a 4, 5 o 6 volte – ndr]” [nota 6]; “gli studi mostrano associazioni degli inquinanti atmosferici con una scarsa crescita dei polmoni nei primi anni di vita [...] [nota 7] ; “se [...] fosse rispettata la soglia di 5 microgrammi di polveri per metro cubo, in Italia avremmo ogni anno 51.000 morti in meno, l’8% sul totale dei decessi” [nota 8] . Mi sembrano punti sui quali vale la pena riflettere per agire, in attesa di poter leggere, in bella vista sotto il cartello “Osasco” all’ingresso del paese, la nomea di “città d’acque”. Francesco Calliero
In attesa di poterla disegnare, lasciandoci trasportare dalle fotografie storiche che accompagnano queste righe, possiamo riflettere su quali altri riflessi potrebbe avere la rivitalizzazione del corso d’acqua che segna la spina dorsale dell’abitato di Osasco:
[1]Stazione meteorologica dell’Istituto di Fisica di Torino, lettura del prof. Claudio Cassardo. [2]G. Baldaccini, G. Sansoni, F. Gasperini – La fabbrica della siccità, su “Nuova ecologia” – Ottobre 2022 [4]Virle nel “salotto” storico; Piossasco nella zona culturale eco–sostenibile del teatro “Mulino ad Arte”; Pinerolo con la passeggiata sul Lemina, in specie nel tratto dopo l’Ospedale Agnelli; solo per portare alcuni esempi. [5]Shane O’Mara – Camminare può cambiarci la vita – Einaudi 2020 [6]Mitigation of climate change and health prevention in Italy: the cobenefits policy 2021 [7]Idem [8]Legambiente – Mal’Aria, su “Nuova ecologia”, da “Mal’Aria: rapporto 2021” – gennaio 2022 Nota della Redazione A completamento della relazione redatta dall’architetto Francesco Calliero, che avevamo interpellato un po' di tempo addietro per l’elaborazione di un progetto per un possibile futuro di un attraversamento viabile di Osasco ai “30 Km/h”, pubblichiamo anche una veloce storia del cambiamento della viabilità e della estetica della principale strada che attraversa Osasco. Sappiamo benissimo la quantità di tempo dedicato a questa opera. Grazie mille Francesco per la tua disponibilità. Naturalmente rimane una proposta. Speriamo venga recepita da chi di dovere.
[3]Idem
Era l’anno 1958 quando venne deciso di dare inizio al cammino del progetto per la copertura del “Bial” che a quel tempo affiancava, sul lato destro, la strada provinciale Pinerolo–Saluzzo e attraversava il nostro centro abitato. Come si vede dalla foto l’attraversamento del paese non era più occupato dal percorso della vecchia ferrovia che univa Pinerolo a Saluzzo. Dopo tanti anni di difficoltà, era iniziata quella vigorosa ripresa che avrebbe portato l’Italia ad essere la quinta potenza economica mondiale. Lo sviluppo portava collateralmente un modo di vivere più agiato. Il traffico aumentava di pari passo con la possibilità di movimento che ormai le famiglie stavano acquisendo. E così anche il traffico in Osasco cominciava a risentirne richiedendo una migliore viabilità. Ecco allora la nascita del progetto che cambierà radicalmente la provinciale che attraversa il paese. I protagonisti dell’intervento sono tre: il Comune e la Provincia che a quel tempo era responsabile della viabilità. A loro si aggiunge il Consorzio Irriguo, utilizzatore del canale, a cui si rivolgono per avere l’autorizzazione alla copertura. Sul verbale del Consorzio Irriguo del 29 marzo 1958 si legge che “Il Presidente, sig. Renato Baronis, informa: …di un esposto in data 13 marzo scorso del signor Sindaco di Osasco (n.d.r. Sig.Priotto Giuseppe), con il quale informa questo Consorzio che l’Amministrazione Comunale, in accordo con l’Amministrazione della Provincia di Torino, ha ideato il progetto di ampliamento della strada provinciale Pinerolo–Cuneo nel tratto attraversante il centro abitato di Osasco … “. Per dare esecuzione a tale opera si rende necessaria una robusta opera di manutenzione dell’alveo, ora in pessime condizioni sia per quanto riguarda le sponde che per il fondo. Oltre a questo, naturalmente, occorrerà anche prevedere la copertura del canale. Il Comune incarica il progettista che è anche il tecnico del Consorzio e quindi perfettamente a conoscenza di tutte le esigenze per l’idoneità del regolare funzionamento. Il costo dell’opera risulta essere di Lire undici milioni, metà sostenuto dall’Amministrazione Provinciale ed il restante a carico del Comune che dovrà contrarre un mutuo. Al Consorzio viene chiesto un contributo di due milioni limitatamente “… alle sole opere che interessano il canale…”. Segue un capoverso che evidenzia dei dati di fatto sulla spinosa questione della proprietà del canale tornata prepotentemente attuale alcuni anni fa. Si evidenzia un riconoscimento formale della proprietà pratica dell’alveo, frutto di anni di esclusivo suo uso e quindi di un oggettivo possesso anche se non certificato da documenti catastali certi. Si dice:” … inoltre è tassativamente richiesta anche da parte dell’Amministrazione della Provincia di Torino la formale autorizzazione da parte di questo Consorzio, quale Ente proprietario del canale, per la copertura del canale stesso mediante solettone in cemento armato…”. Questo dalla lettura del verbale redatto dal segretario del Consorzio, visto e approvato dalla Prefettura di Torino il 4 febbraio 1960.
Si approva quindi l’opera mettendo comunque delle clausole ben precise: viene autorizzata la copertura del canale senza assumere qualsiasi responsabilità nei riguardi di sicurezza e manutenzione della stessa, mentre le opere inerenti il canale consortile saranno a carico del Consorzio che vigilerà affinché siano atte a garantire il suo buon funzionamento. Da questo derivano due considerazioni. La prima è che sono a carico del Comune (una volta anche della Provincia) onori e oneri della copertura e ampliamento della strada. La seconda che sono a carico del Consorzio i soliti onori ed oneri del buon funzionamento del canale. Naturalmente il tutto a favore di una buona viabilità, di un buon deflusso delle acque di irrigazione per i terreni agricoli, tenendo presente che le responsabilità da codice civile derivanti da danni provocati dall’esecuzione di tali opere sono esclusivamente a carico degli enti in questione. L’Assemblea Generale dei Consorzisti si riunisce ancora per la medesima questione il 12 dicembre 1959. Vengono evidenziati ritardi nell’attuazione dell’opera a causa di difficoltà finanziarie ed il Sindaco esorta il Consorzio affinché possa compiere ogni possibile sforzo per l’attuazione dell’opera. Viene evidenziata la necessità della sistemazione del canale ora in cattive condizioni con sponde pericolanti e colpevoli onerose filtrazioni di acqua nei sotterranei dei fabbricati adiacenti. Anche questo verbale viene visto ed approvato dalla Prefettura di Torino il 4 febbraio 1960. Ci vorranno poi ancora alcuni anni per l’esecuzione completa dell’opera così come, più o meno, si vede oggi. In ultimo, aggiungiamo alcune semplici considerazioni. Curioso constatare come il concetto di viabilità nel centro abitato cambi nel tempo: anni addietro era richiesta maggior transitabilità per velocizzare, ora se ne richiederebbe una minore per diminuire la velocità di transito. Altra constatazione è la definizione che oggi molte persone danno al concetto dell’architettura del paesaggio: anni fa si desideravano strade larghe, coprendo spazi che l’acqua molte volte pretende. In particolar modo a causa dei violenti cambiamenti climatici. Per fortuna il nostro caso è abbastanza limitato. Ora si preferisce premiare il ricordo storico del paese. Per chi vuole velocità c’è la circonvallazione.
Seguono discussioni su opportunità di partecipazione all’opera asserendo che le opere saranno di indubbia utilità per il sensibile ampliamento del piano stradale con notevole vantaggio per la viabilità oltre al miglioramento estetico del centro abitato.